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TV Lumière - "Addio! Amore Mio" (Acid Cobra Records/Venus/CD1D, 2011), da rss.audiodrome.it - 18.08.2011 - recensione - ****

Negli ultimi anni, l'Umbria non ha mancato di sorprenderci: dopo il discreto successo degli Slow Kinds And Fast Animals e il buon esordio dei Da Hand In The Middle, eccovi, a distanza di tre anni, il terzo disco dei Tv Lumière: Addio! Amore Mio. Il quartetto ternano, formato nel 1999 da Federico Perschini (chitarra e voce), Ferruccio Perschini (chitarra e piano), Irene Antonelli (basso e cori) e Yuri Rossi (batteria), giunge con quest'album agli onori della stampa, ricevendo recensioni benevole sia in patria sia in Francia. Merito di quest'eco in Oltralpe è forse del polistrumentista Amaury Cambuzat, leader degli Ulan Bator, il quale, senza limitarsi a offrire i tipi della sua casa discografica, ha partecipato attivamente al prodotto, collaborando alla metà delle canzoni. I pezzi, dalla struttura dilatata e di studiata articolazione, rivelano forti influssi post-rock: basti pensare alla lunga coda della traccia di apertura, “La Condanna”, dove ai cori si aggiungono sapientemente distorsioni ed effetti di chitarra (Sonic Youth docent?) oppure al convulso finale di “Transoceanica”, caratterizzato dalle nervose arcate di violino eseguite da Rafael Bord. C'è un po' di June 44, un pizzico di Mogwai, una buona dose di Swans, senza che sia possibile rintracciare un modello specifico. Del resto si tratta di un gruppo di carattere, aperto a molteplici influenze: non mancano melodie baustelliane, sonorità space (che seguono, a corollario, l'inizio insospettabilmente folkeggiante di “De Rosario”) e neppure un pianismo che ricorda quello di Satie (“L'Ospedale Vecchio/I Sette Giri Del Corrente”). Il buongusto della band è messo in rilievo dai pezzi strumentali, cioè “A.M.A.N.O.”, col suo brusio di radio in sottofondo, e la “Scena Muta”, una riuscita introduzione all'ultimo brano. Degno di nota è il lavoro del batterista abile sia nel sottolineare certi fraseggi (“La Lettera”), sia nello smorzare con ritmi di marcia le plumbee atmosfere del cd (“Un Fiore Per Il Capitano”). I testi, intrisi di composta tristezza, uniti dal fil rouge tematico di amori finiti male, sono di buona fattura, sebbene odorino di libresco e di anticato. Hanno poi il merito, grazie a efficaci accorgimenti, di sfatare il luogo comune che la lingua di Dante mal si sposi col rock e i suoi sottogeneri: il ricorso a parole tronche in fine verso, ad esempio, permette al cantante di sostarvici senza creare goffi spostamenti d'accento. Il momento in cui musica e testi raggiungono la perfetta simbiosi è “Ago E Filo”, summa della loro poetica e della loro estetica. Un lavoro né immediato né leggero, ma in grado di conquistare al primo ascolto. Un consiglio: quando avrete finito di ascoltare l'ultima canzone, “L'Ospedale Vecchio/I Sette Giri Del Corrente”, aspettate 10 minuti a togliere il cd dallo stereo...

A cura di: Marco Luchi