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TV Lumière - Avrei Dovuto Odiarti (Minollo Records/Audioglobe,2019) - da ROCKGARAGE - 23/5/2019 - recensione - 7/10

Mi piace andare alle mostre. E prima ancora che perdermi davanti le opere mi affascina vedere come reagiscono le altre persone. E nel 90% dei casi, quando qualcuno non capisce… passa oltre. E di questi, il 90% codifica l’opera come brutta. Siamo nell’era dell’immagine e dell’apparire ma soprattutto siamo nell’era in cui il libero arbitrio può in assoluto decretare. Il bello prende il posto di qualitativo. Il “mi piace è la nuova religione imperante. Io non faccio parte di quella schiera di persone. Non me ne vanto, non sono un presuntuoso… ho solo scoperto (anzi ri-scoperto) quanto è appagante fare domande. E per raccontarvi questo disco dovrei prima fare tante domande. Sono sicuro invece che alla maggior pare delle persone, coloro i quali avranno capito poco o niente, etichetteranno questo quarto disco dei TV Lumière come brutto. Ed invece penso proprio che sia un lavoro interessante. Bello o brutto lascia il tempo che trova ed io non ho tempo da perdere. Ho sulla pelle la stessa sensazione vissuta dopo l’ascolto dell’ultimo lavoro di Nero Kane… che tra l’altro, macchiandosi di quell’America dannata e ferrosa, sembra camminare nella stessa direzione di questo disco. Avrei Dovuto Odiarti è il quarto lavoro della band di Terni che ormai ha quasi 20 anni di carriera alle spalle, tra derive e riconfigurazioni, cambi di marcia e vestiti di scena. Archiviamo le note di ufficio citando il buon Carlo Zambon tra le guide artistiche di questo lavoro che probabilmente configura il suono in un risultato “nuovo” per i Nostri e qui, ascoltando come niente è a caso, preme immergersi nel loro passato e capire quanto e come la trasformazione ha prodotto rivoluzione. E questa è la prima domanda.

Tutto molto poco casuale e per niente lasciato alla semplice funzione estetica e lo percepisco in due momenti precisi: in La Strage Di San Valentino, questo lungo strumentale che non annoia ma narra, ricco di dettagli che sono importanti e visionari. Questo intro di ululati di ferro e di polvere solitaria (armonici di violino?) che tornano nel brano mescolandosi in quelle marce country di pieno paesaggio west mi mostrano la città vecchia, disabitata, mi mostrano la solitudine di una ricerca personale ma anche il confronto per niente facile con il futuro industriale. Certo, visto anche il continuo richiamo con un certo passato, avrei preferito maggiore rispetto didascalico a quel primo impatto western e invece – la parte di drumming soprattutto – diviene molto psichedelico e indie trasportandomi in una notte che potrebbe somigliare ad una di quelle uscite dal film de Il Corvo. E il secondo punto che dimostra la cura letteraria dei dettagli è nella traccia finale Sonny J. Barbieri dove si fa determinante e assolutamente caratterizzante il dialogo tra batteria e pianoforte. Mi ha colpito questo ricamo armonico e quest’arrangiamento che allo stesso tempo disegna una scena epica (nel battere greve della tonica), speranza di soluzione (nel piccolo fraseggio in maggiore sulle ottave medio alte) e poi quel certo gusto jazz che mi parla di perplessità e di scoperta. Ma queste sono solo mie chiavi di lettura, magari assolutamente fuori tema… ma potente è il carico visionario di questo disco.

Le canzoni che per il resto dell’ascolto si dispiegano sono canzoni cattedratiche, eucaristiche, in cui la voce è assai penalizzata nella produzione, quasi intellegibile il più delle volte e questo mi dispiace assai perché penso che in questi 9 inediti ci siano storie e leggende, eroi e anatemi. Un disco da anacoreti o sacerdoti dell’occulto con queste linee vocali che richiamano inevitabilmente la parte pop dei Baustelle o dei più giovani Siberia, con melodie che spesso abbracciano il più storico folk o le più eleganti forme della canzone d’autore. E girando e rigirando il brano Un Sicario che trovavo questa bellissima costruzione melodica della strofa, assai caratterizzante, e sfogliando e risvegliando la memoria ecco uscire fuori Memories And Dust di Paolo Preite che, nel DNA del suo scheletro, ha confezionato qualcosa di simile nelle sue consuete vesti pop rock. Non cito plagi o furti ma è una buona scusa per far conoscere altra musica che, in modo del tutto sconnesso e personale, ha in qualche modo usato colori simili. Che poi questa costruzione è assai tradizionale…  sono sicuro di ritrovarla in qualsiasi disco di folk irlandese ad esempio. E proprio i dettagli tornano vincenti nei suoni e negli arrangiamenti di Fondo Alle Ancore dove qui, più di prima, si resta fedeli a questa immagine western e si aggiunge, senza peccare di incoerenza, questo sapore un poco hawaiano e un poco piratesco.

E che curiosità resta di conoscere a fondo la letteratura di questo disco che penso sia più che un collante di brani da tenere assieme in un solo disco. Avrei Dovuto Odiarti non sprizza di gioia e di luci accese, non ha figure che la moda riconosce come belle, non ha ritornelli forti e strutture radiofoniche. È un disco che pretende calma e stasi, vuole misurare con tatto il tempo e dare peso ad ogni passaggio: dunque non ascoltatelo se avete tempo da riempire. Ascoltatelo se avete tempo da dedicare. Avrei voluto capirlo di più. Troppo ermetismo in questa voce che si fa comprendere poco, troppo ermetismo in questa scelta di luce soffuse che, se pur restituendo uno scenario curato e molto affascinante, non illuminano secondo me i punti salienti per lasciare tracce e indizi a noialtri per orientarci verso l’uscita. Si resta incastrati dentro il mondo dei Tv Lumière…e per fortuna è un mondo che mi piace.

di Paolo Tocco